Serle, la frazione Tesio con una bella conca verde

 

Veduta di Serle in Valsabbia Stemma del Comune di Serle in Valsabbia

 

I nuclei urbani di Serle
«Di solito chi percorre la strada da Brescia a Tormini, per raggiungere, col chiaro golfo di Salò, il Garda, non bada gran che al paesaggio... Non si interessa gran che uno che vada per i fatti suoi, affari o pendolare... Gode invece d'una allegra sorpresa chi abbia appena un poco di gusto e di garbo per la natura serena.
Sulla sinistra, dopo Nuvolento, s'interrompe la grigia costa scoscesa, ... per far posto ad una larga conca di verde, la conca di SerIe...».
Comunemente questa conca, adagiata sui fianchi garbatamente inclinati senza scoscendimenti o balzi o precipitosi dei suoi monti che le fanno da corona, è ritenuta, da chi vi si è avventurato più con spirito scoutistico che turistico, oasi di verde e di pace, dal clima salubre, terra generosa di frutti (funghi, amarene, castagne) e località custode del tipico piatto gastronomico "polenta e osei".
Le frazioni che compongono il comune sono adagiate tra i rilievi montuosi che risalgono dalla valle del Chiese sino al carsico altopiano di Cariadeghe.
Salendo da Nuvolento si incontra dapprima Berana, m 375, indi Biciocca con vasti depositi di carbone vegetale. La strada sale poi al cuore del paese; a destra Bornidolo e Magrena, con notevoli case contadine. A sinistra Casella e Chiesa, m 505, sede del municipio, sito in un palazzo seicentesco con porticato vantiniano, e della possente parrocchiale.
Poco oltre, Sorsolo, m 462, allungato su un crinale. La strada principale tocca poi Salvandine, m 567, e a sinistra le poche case di Gurale, m 599. Più avanti Ronco, m 594 e al bivio successivo prendendo a sinistra (per S. Gallo e Botticino) Cocca, m 656 e, più distante, Castello, m 656.
Tornati al bivio e riprendendo la strada comunale si sale a Villa, m 673, la frazione più elevata. Una diramazione a destra porta a Tesio Sopra e Sotto, da dove si diparte una strada sterrata che scende a Gavardo.
Da Villa si può salire per sterrata al colle di S. Bartolomeo, m 933, ove sono i resti del monastero benedettino di San Pietro in Monte.
Grandioso panorama sulla valle del Chiese, sul basso Garda e le sue colline.
Alle spalle il parco regionale di Cariadeghe, notevole per il carsismo e le grotte.

 

La storia di Serle
Chi transita sulla 45 bis in direzione del Garda, nel tratto tra Nuvolento e Paitone, tra le prime propaggini delle Prealpi, può facilmente distinguere, per il singolare aspetto di cono vulcanico, il monte attualmente denominato S. Bartolomeo.
Nelle guide turistiche è semplicemente segnalato con vetta rocciosa alta 934 m, coronata da un "santuario", già sede di monastero benedettino, indicata come meta di escursioni per la veduta panoramica della pianura e del sottostante altopiano di Cariadeghe crivellato da circa 400 doline.
Per i Serlesi San Bartolomé rappresenta il monte di casa per eccellenza e sulla sua cima gli abitanti del paese si danno tuttora convegno ogni anno, l'ultimo week-end d'agosto, per la festa della sagra dell'accoglienza dei pellegrini che tradizionalmente in questa ricorrenza risalivano il monte dai circostanti territori di SerIe, Vallio, Caino, Botticino.
La intitolazione del monte a S. Bartolomeo è relativamente recente, risale al secolo XV; all'epoca in cui l'eredità ormai scarsa dell'antico cenobio benedettino passò ai canonici veneziani di S. Giorgio in Alga, che ricostituirono lachiesa e il chiostro con l'annesso ospizio per i viandanti, soppiantando l'antico nome di S. Pietro in monte Orsino.
S. Bartolomeo apostolo, infatti, quale protettore dei pellegrini, ben si addiceva all'intitolazione di questa residenza monastica, in cui trovavano ospitalità e soccorso i viandanti, spesso vittime di assalti dei briganti, lungo il percorso dell'importante strada montana di collegamento della Valle Sabbia con Brescia, che passava appunto ai piedi della vetta del monte.
Se per i Serlesi e gli abitanti del circondario risalire al S. Bartolomeo significa quindi riappropriarsi di una protezione antica, per il visitatore o turista deve significare anche il riscoprire in questi luoghi i segni di un passato glorioso e rigoglioso intessuto di fatti e leggende che fanno parte di un patrimonio storico e culturale per troppo tempo rimasto ignorato.
La primitiva denominazione del monte era Orsino o Ursino, toponimo di dubbia interpretazione, ma attribuito a specifiche caratteristiche ambientali: Orsino potrebbe derivare da orso (bestia anticamente presente nel territorio, ved. ursus speleus) o dal termine aursum cioè arso, per indicare la caratteristica di monte brullo e arido. Nonostante ciò, in questo luogo, isolato e non facilmente accessibile, è attestata la presenza di un antico insediamento romano: forse di luogo di culto alla divinità pagana. Questa importante testimonianza è documentata dal frammento di iscrizione del I o II secolo d.C., dedicata ad Ercole, attualmente murato in una stanza destinata ai pellegrini.
Altra importante attestazione di un antico interesse per questo luogo è la leggenda (da confermarsi o smentirsi attraverso scavi nei sotterranei del monastero) secondo la quale il vescovo eremita S. Silvino, nel secolo V; si rifugiò in questo eremo dove morì e fu sepolto.
Le reliquie, il culto del Santo protettore, gli affreschi devozionali e la definizione di "spelonca di S. Silvino" sono comunque elementi rimasti costanti nella tradizione orale e votiva dei Serlesi.
E forse proprio questa antica presenza cristiana sul monte Orsino può aver determinato la successiva fondazione, attribuita a re Desiderio, del monastero benedettino dedicato a S. Pietro e denominato appunto S. Pietro in Monte.
Questo evento costituisce la pietra miliare per la storia non solo serlese, ma di tutto il territorio circostante: dal Garda al lago d'Idro, dalla pianura del Chiese alla valle delle Giudicarie, dalla Valle Sabbia alla Val Camonica, dove si trovavano i vasti possedimenti di cui venne dotato il monastero, pari per importanza a quelli coevi di S. Giulia e di Leno.
Purtroppo al monastero di Serle non è toccata pari sorte nella considerazione degli storici e degli studiosi del Medioevo bresciano: "Scomparso il monastero ormai da tre secoli, tramontata completamente la sua fama, emigrati a Venezia i documenti del suo archivio, di esso non restava che il nome; l'oblio era disceso ingeneroso e assoluto a velare di dense tenebre le vicende di questo importante istituto religioso, che aveva dominato per vari secoli, come un faro di civiltà cristiana, su tutta la nostra provincia, ma in modo speciale sulla ridente regione orientale della Riviera Benacense e della Valle Sabbia".
Sono parole del celebre storico bresciano Paolo Guerrini al quale spetta il merito di aver pubblicato nel 1931 un saggio con il quale si riscopriva la mole dei documenti redatti dal 1014 al 1637, consistente in 2000 pergamene che, tuttora reperibili in copia anche presso istituzioni culturali bresciane, restano ancora da studiare integralmente.
Da esse si possono trarre notizie sulle trasformazioni sociali, economiche e politiche dal basso Medioevo all'età moderna e circa l'influsso che il monastero serlese esercitò sullo sviluppo economico ed in particolare agricolo dei vari paesi di pianura, di collina e di montagna con i quali ebbe rapporti.
La trascrizione e traduzione di questi manoscritti potrebbe consentire di avere conoscenze sicure circa l'origine e la trasformazione di altri paesi valsabbini, in particolare del territorio di Vallio (de Vallibus) e della leggendaria e misteriosa rocca di Bernacco che pure viene annoverata tra i beni amministrati dai monaci.
Così pure, attraverso queste fonti scritte, si potrebbe ricostruire la consistenza e la struttura architettonica originaria dell'edificio monastico che oggi, dopo vari eventi rovinosi, appare di dimensioni esigue e molto rimaneggiato.
Ma anche l'osservazione diretta dell'ambiente, dei manufatti, della toponomastica molto può far scoprire al visitatore che, salendo dalle sponde del Chiese alla cima del monte, intenda anche ripercorrere idealmente il cammino della storia di questi luoghi.
In Prevalle e in Nuvolento si possono leggere espliciti riferimenti al passato nei nomi di alcune località, quali Celle o via dell'Abate, come non è difficile ritrovare scolpite su molti portali o sui parapetti le chiavi di S. Pietro: insegna del monastero.
Salendo lungo la tortuosa strada che collega le varie contrade di Serle, che ancor oggi portano gli antichi nomi citati nelle pergamene (Flina, Berana, Castello...), si possono notare, sulle coste rocciose e scoscese, piccoli spazi coltivati, ricavati dalla natura impervia di questo terreno con sovrapposti ripiani terrazzati, sostenuti da muri a secco: manufatti suggeriti dall'opera di dissodamento e di bonifica benedettina che hanno lasciato impresso l'aspetto arcaico del paesaggio medioevale.
Questo cammino a ritroso nel tempo può essere più affascinante e suggestivo per chi, volendo rinunciare alla comoda salita in automezzo, opta per il cavallo di S. Francesco percorrendo gli antichi sentieri o scorciatoie ormai soppiantati dalla strada asfaltata e rimasti a tratti ancora acciottolati con la perfezione dei mosaici.
Così, via via rileggendo la storia nel terreno, nel paesaggio, nei manufatti, nelle pietre, rimane da scoprire il mistero della vetta che, gelosa del proprio passato, racchiude nel sottosuolo, nei tortuosi anfratti sotterranei più di quello che è visibile in superficie.
Secondo la tradizione orale il monastero era direttamente collegato alle contrade inferiori di Serle anche attraverso cunicoli e gallerie scavati all'interno del monte.
La rovina del monastero è segnata all'inizio del '400 e ad essa si collega un'altra coinvolgente pagina di storia.
Era l'epoca delle lotte tra guelfi e ghibellini o, meglio, tra famiglie che in nome del papa o dell'imperatore miravano al prevalere del proprio potere: il monastero era ormai ridotto ad un bene amministrato dall'abate che lo assegnava in godimento alla famiglia più potente in cambio di favori politici.
Così il "bellicosus homo", Giovanni Rozzoni, noto per le sue imprese brigantesche, discendente da una famiglia di vassalli del monastero e capo delle milizie guelfe valsabbine in lotta contro il dominio di Giangaleazzo Visconti, nel 1401-1402, si arroccò nel monastero di Serle, ormai abbandonato e disabitato, che, per la sua posizione strategica, gli consentiva di controllare, incontrollato, gli spostamenti delle soldatesche nemiche nella pianura.
Passato poi nel 1446, col favore del governo veneto, ai canonici veneziani, il monastero semidistrutto fu ristrutturato e divenne casa di cura climatica estiva fino alla soppressione dell'ordine ed alla vendita dei beni avvenuta nel 1668 a sostegno della guerra contro i Turchi.
Nei secoli successivi il monastero, abbandonato e in rovina, era affidato ad un eremita che viveva d'elemosina e solo in questi ultimi decenni, ristrutturato a cura di alcune famiglie serlesi, ha riacquistato la funzione antica di luogo d'accoglienza dei viandanti e di quanti vogliono "leggere" dal vivo le pagine di una storia ancora per buona parte inedita.